Francesca da Rimini, sulle tracce di un mito

Numero monografico della rivista romagna arte e storia dedicato a Francesca da Rimini
di Ferruccio Farina

 

Premessa: Le due Francesche, mille e più Francesche

 

Francesca da Rimini è tra i miti più diffusi, popolari, radicati e longevi della cultura occidentale.

A lei, a partire dal Settecento, una schiera di innumere­voli artisti ha dedicato opere in ogni forma d’espressione e in ogni lingua: poesie, commedie, tragedie, melodrammi, film, musiche, dipinti, sculture, incisioni. Opere, spesso di grande valore e di grande successo, che, nell’immaginario collettivo, l’hanno trasformata da peccatrice-adultera in una eroina, vittima di un inganno nuziale e di intrighi di potere, fino a farne, ai nostri giorni, il simbolo della fedeltà eterna al primo amore e della passione che tutto vince.

Sarebbe oltremodo presuntuoso credere di trattare in maniera esaustiva in una semplice monografia, una figura letteraria e un tema tanto affascinanti, quanto vasti e complessi.

Perciò, questo lavoro si è posto due obiettivi ben de­finiti e limitati.

Il primo è quello di tentare di ricostruire una mappa, necessariamente sommaria, di quando, come e dove, que­sto mito è nato e si è sviluppato.

Il secondo è di dimostrare la sua complessità, tentando, ove possibile, di svelare le ragioni della sua fortuna e di mettere in evidenza la sua dimensione internazionale e le interconnessioni che legano persone, vicende e luoghi che lo riguardano.

Il tutto illustrando, seppur in sintesi, la vicende attor­no all’opera di Pellico, alle tournée di Adelaide Ristori, alla celebre pittura di Scheffer, e ai successi americani di Francesca, per quanto riguarda l’Ottocento; percorrendo il Novecento attraverso le varie fortune dell’opera, di Zandonai e degli autori che hanno traghettato il mito della nostra eroina fino ad oggi. Tentando di raccordare e di contestualizzare i tanti e vari aspetti di questa affascinante ed intricata vicenda.

Va chiarita anche la pregiudiziale rigorosa che è alla base di questo lavoro:

esistono due Francesche da Rimini.

C’è la Francesca di Dante, racchiusa nel quinto canto, nella quale solo il Poeta era riuscito a coniugare, in maniera sublime e misteriosa, peccato e bellezza, amore e morte, passione, pena e amorosa pietà. Una Francesca che, per facilità di dialogo e per primato temporale, e non certo perché nei secoli abbia perso il suo fascino, definiremo la “classica”, la “vecchia”.

C’è poi una Francesca “nuova”, nata quattro secoli dopo, che, seppur ispirata dai versi del Poeta, ha vissuto e vive ancora, invece, con vita autonoma e con opere dedicate a lei soltanto. Più che del Sommo, è figlia delle sensibilità e delle pulsioni romantico-patriottiche che af­fondano le loro radici nell’Ottocento. Pulsioni e tensioni dalle quali sono scaturiti il coraggio e la forza di trattare temi che, fino all’ancien regime, erano tabù, e di riproporli, talvolta, anche in termini dissacratori.

È di quest’ultima, soltanto, che qui si tratterà.

 

Le due Francesche

Per cinque secoli la “vecchia” Francesca, racchiusa nel pur incantevole quinto canto, era stata una penitente sofferente che insieme a Paolo vagava senza speranza tra le fiamme dell’Inferno. Chi s’azzardava a raffigurarla e a raccontarla, ne rendeva, ne doveva rendere, un ritratto da condannare moralmente, un modello da non imitare.

Una Francesca brutta, insomma, spesso dal viso se­gnato inesorabilmente dalla colpa.

Che diventa bellissima non appena, sul finire del Settecento, viene traghettata fuori dalla Commedia per assurgere a vita propria.

Bellissima e amatissima. Con un successo interna­zionale che ha in Pellico, Leigh Hunt, Heyse, Boker e D’Annunzio i principali pilastri in letteratura e in teatro, in Ingres, Scheffer nelle arti visive, in Tchaikovsky, Zandonai e Rackmaninov in musica, ma che riesce a scatenare le fantasie di una serie interminabile di artisti d’ogni paese e, attraverso di loro, di un pubblico sempre più vasto e incantato.

Il suo messaggio, accolto a tutte le latitudini era, ed è, semplice e forte: la vera virtù non è, o non è più, accon­discendere e immolarsi a ingiusti voleri e a inique leggi soffocando le pulsioni e anteporre la ragione - anche di stato - alla passione. Ma lottare e vincere per far trionfare l’amore eterno. Anche nell’aldilà. Amore, casto o carnale, che è comunque la vittoria della libertà contro le ingiustizie e le oppressioni, è il trionfo della bellezza.

La nuova Francesca è, quindi, bellissima, virtuosa e coraggiosa. Che diventa facilmente l’eroina e la musa per i tanti patrioti impegnati a lottare per l’indipendenza e per la libertà. E non solo in Italia.

Figlia della Libertà. Come si tenterà di dimostrare.

Le due Francesche, la vecchia e la nuova, hanno quin­di viaggiato, e ancora viaggiano affascinando il mondo, con vite e con percorsi assolutamente distinti e paralleli. Talvolta si sono incontrate e s’incontrano, s’influenzano e si contaminano a vicenda, ma senza mai confondersi, almeno ad occhi attenti.

Due Francesche che hanno la medesima ispirazione ma che sono sempre diverse nelle motivazioni e nelle significazioni.

La prima è accompagnata dalla poesia e dall’autorevo­lezza del Sommo, ma anche dall’austerità e dal valore mo­rale delle tre cantiche sempre al seguito, necessariamente rappresentata tra i dannati. Francesca che, nonostante lo svenimento commosso di Dante, è e resta all’inferno.

La seconda, invece, eroina appassionata dell’amore, è caratterizzata dal sapore di libertà, di bellezza, di legge­rezza e di modernità che non l’hanno mai abbandonata fin dalla sua apparizione, alle soglie dell’Ottocento.

Infatti, se il 1795 è l’anno in cui nasce John Keats, in cui Napoleone entra trionfante a Milano e la Marsigliese diventa l’inno nazionale dei francesi, è anche l’anno in cui Francesco Gianni, poeta improvvisatore romano, gia­cobino in fuga, consegna a vita autonoma la bella figlia di Guido da Polenta con una composizione poetica di trentasei strofe, incipit della lunga, lunghissima serie di “Francesche da Rimini” che tutt’ora si susseguono.

Ed è da quel momento, dall’elegante salotto senese in cui viene composta per farne dono a una dama fascinosa, che la “nuova” Francesca inizierà a percorrere tutti e cin­que i continenti (1) con un percorso le cui tracce - alcune delle cui tracce - qui si è tentato di seguire e di indagare.

Un’evoluzione riconducile, molto sinteticamente, a tre momenti: il riscatto dalle pene dell’inferno e l’esaltazione della passione (Gianni e i libertari); l’amore eterno, la libertà e la patria (Pellico e i romantici francesi e inglesi); la legittimazione della sensualità e dell’erotismo nelle pulsioni amorose (D’Annunzio & Co.).

A chiudere idealmente il cerchio in questa evoluzione e a certificare l’avvenuta ascesa di Paolo e Francesca nel­l’olimpo dei sogni, è la splendida poesia che a loro dedica Jorge Luis Borges:

 

Lascian cadere il libro, ormai già sanno

che sono i personaggi del libro

(lo saranno di un altro, l’eccelso,

ma ciò ad essi non importa).

Adesso sono Paolo e Francesca,

non due amici che dividono

il sapore di una favola.

Si guardano con incredulo stupore.

Le mani non si toccano.

Hanno scoperto l’unico tesoro;

hanno incontrato l’altro.

Non tradiscono Malatesta

perché il tradimento richiede un terzo

ed esistono solo loro due al mondo.

Sono Paolo e Francesca

ma anche la regina e il suo amante

e tutti gli amanti esistiti

dal tempo di Adamo e la sua Eva

nel prato del Paradiso.

Un libro, un sogno li avverte

che sono forme di un sogno già sognato

nelle terre di Bretagna.

Altro libro farà che gli uomini,

sogni essi pure, li sognino (2).

 

Mille e più Francesche

Le considerazioni che sono alla base di questo saggio sono scaturite dall’esame di un repertorio di opere dedicate all’eroina ravennate-riminese, che è ancora in fase di redazione e che, per quanto vasto, è ancora lungi dall’esser esaustivo.

Fino ad ora sono stati censiti oltre duecentocinquanta tra componimenti poetici, teatrali e letterari, oltre tre­cento tra dipinti e incisioni, oltre centocinquanta opere ed eventi musicali e oltre dieci film (3) creati dal 1795 ad oggi. Dinnanzi a una mole così ampia e varia, non è stato quindi possibile concedere in questo saggio alcuno spazio al benché minimo approccio critico delle opere, dovendo limitare necessariamente l’obiettivo principale a fornire soltanto un’idea d’insieme del fenomeno.

La trama base e l’ambientazione delle storie che si susseguiranno dal 1795 ai giorni nostri, dato che Dante aveva mantenuto la sua splendida creatura avvolta in un affascinante mistero, traggono in gran parte il loro riferimento “storico” dal racconto del Boccaccio (4) che ha, sinteticamente, questa struttura portante: l’angelica figlia di Guido da Polenta s’innamora a prima vista del bel Paolo Malatesti che le fanno credere suo sposo e che, invece, scopre essere suo cognato al mattino della prima notte di nozze quando, a sorpresa, si trova tra le lenzuola Giovanni lo sciancato, Gianciotto, appunto (5). Un matri­monio di stato, combinato tra potenti, a sua insaputa. Un inganno, una violenza, che nessun animo nobile avrebbe potuto sopportare e che ben giustificano il concedere, a chi spetta per diritto di sentimento, un casto amor cortese o, più spesso, l’anima e il corpo.

Lo sforzo creativo di autori di poemi, tragedie e rac­conti, ha comunque avuto buon gioco e nessuna della varianti possibili sarà dimenticata, specie in quanto a pec­cato: niente peccato, peccato di solo pensiero, peccato di pensiero e di azione. Ci sarà chi farà entrare Francesca in monastero, chi la farà santa in paradiso; chi la rappresen­terà come una insaziabile megera; chi peccatrice per aver giaciuto con Gianciotto. Francesca talvolta fiera, talvolta pentita; talvolta pudica, talvolta sensuale; talvolta mistica e angelica, talvolta emancipata dominatrice della scena. Comunque sempre bellissima, sempre reale. Comunque figlia della vita e dell’amore e non della fantasia o delle costrizioni morali [immorali].

Ci sarà chi riscatterà Gianciotto; chi lo farà suicidare per il dolore, chi lo farà uccidere da Paolo; chi suiciderà Paolo o Francesca.

Salvo eccezioni, il messaggio che esce da questa storia, in prosa, in versi o in note, è forte e chiaro: Francesca è un’eroina, la sua passione è nobile, ha diritto alla libertà d’amare, l’amore è eterno.

In quanto a trame, le arti visive presentano meno sor­prese rispetto alla letteratura.

Se gli illustratori della Commedia avevano raffigurato la “vecchia” Francesca quasi esclusivamente nella “bufera infernal” tra fiamme e dannati, nel momento dell’incontro all’Inferno di Dante e Virgilio, la “nuova” sarà rappresen­tata principalmente in tre diverse maniere (6):

- il bacio e il libro, con o senza il torvo Gianciotto

- gli amanti che giacciono trafitti,

- gli amanti avvinti per l’eternità, con o senza Dante e Virgilio, con o senza fiamme, con o senza svenimenti.

Numerosi e fortunati, poi, sono stati anche i cicli pit­torici che raffigurano tutti e tre i momenti con un racconto completo.

Comunque, il soggetto di maggior successo sembra spettare alla scena che raffigura l’attimo che precede la tragedia, con Francesca più o meno discinta e con Paolo più o meno focoso, più o meno appassionatamente ab­bracciati e baciati.

In quanto a pittura e ad arti visive, la minor attenzione a loro rivolta nel presente saggio, rispetto a letteratura e musica, è solo apparente e comunque giustificata da alcuni motivi.

Innanzi tutto, è ben comprensibile la diversa forza di impatto quantitativo di una rappresentazione teatrale o di un libro rispetto ad una tela; la prima rivolta a centinaia se non a migliaia di persone, la seconda a visioni, se non private, comunque riservate a circoli ristretti. E da ciò, certamente, consegue un diverso peso nella costruzione delle fortune e della popolarità di Francesca, che costrui­scono il tema di questo lavoro. Poi, nel seguire le “tracce” e le interconnessioni tra le varie opere, i vari autori e i vari avvenimenti, sono stati pochi, in verità, i pittori che si sono incontrati tra patrioti e nei momenti di fermento politico e sociale.

Va anche detto che, indagando pittura e incisione, l’“effetto novità” che ha caratterizzato la ricerca nelle bi­blioteche di mezzo mondo dei tanti “minori” in letteratura e teatro, è stato relativo. Poche sono state le sorprese rispetto a quanto già noto, anche grazie a iniziative importanti di divulgazione, talune recenti (7).

Della storia, della possibile vera storia di Francesca, qui non si è trattato. Dopo i lavori di Luigi Tonini e gli ultimi contributi di Piero Meldini che hanno analizzato le poche fonti certe, nulla di più c’era da dire e da dimostrare. Resta una storia dai contorni incerti, con quei non pochi misteri che permettono alla fantasia di sbizzarrirsi. Una cosa solo è certa: se bacio e sangue ci son stati, il luogo è Rimini (8).

La bibliografia che riguarda il tema del mito di Francesca è ampia ed è stata in gran parte pubblicata in precedenza (9). Va detto che, però, è rivolta in gran parte ad analizzare un’unica Francesca, senza distinzioni tra “vecchia” e “nuova” e il loro diverso significato.

Comunque, vanno nuovamente ricordati i lavori di Charles Yriarte, Antonio Giordano, Carlo Del Balzo, Ugo De Maria, Corrado Ricci, Giuseppe Pecci, Luigi Servoli­ni, Nevio Matteini, Carlo Borrelli, Amilcare A. Iannucci, Deidre O’ Grady (10).

Una citazione particolare, poi, va riservata al barone Guglielmo Locella, studioso e scrittore, che ha dedicato vent’anni a raccogliere documenti e memorie su Francesca per farne una monografia. Opera che purtroppo, non riuscì a compiere, ma che fu portata a termine e pubblicata dalla moglie Maria nel 1913. Uno straordinario repertorio, il suo, dal quale tutti hanno attinto, che conta ben 460 autori di opere diverse dedicate a Francesca da Rimini fino al 1910 (11).

In quanto a storia e fantasia, lo scrittore Alfredo Panzini e lo storico Augusto Campana, sono stati protagonisti di un simpatico episodio. Nella primavera 1931, alla ricerca di argomenti con cui far presa dalle colonne del Corriere della sera, Panzini pubblicò un presunto colloquio con Campana nel quale l’autorevole “scopritore di codici” avrebbe affermato che Francesca da Rimini poteva esser morta ottuagenaria in un convento del Montefeltro o della Valmarecchia, ivi rinchiusa dopo il “bacissimo”. Campana smentì ferocemente le affermazioni riportate da Panzini e ne nacque un non formale dissidio che riempì per diverso tem­po le pagine dei giornali. Anche Luigi Pasquini insorse “Ci dispiace, Francesca è stata ammazzata a Rimini…” (12).

Che sia morta a Rimini o a Verucchio, poco importa ormai. Son piccole cose da campanile per una creatura amata nei cinque continenti.

È il suo mito che è vivo ed è ancora incredibilmente giovane.

E non solo perché a suo nome si inaugurano ancora nel 2007 stagioni operistiche alla Fenice, oppure perché a Ravenna e a New York vanno in scena nuove tragedie. Ma perché sa rinnovarsi e stupire ancora, raggiungendo mete apparentemente le più strane e le più lontane dai toni poetici dei secoli passati.

Due esempi, fra i tanti.

A Francesca da Rimini è oggi intitolato il progetto “L’amore non dovrebbe uccidere...” impegnato ad af­frontare l’emergenza sociale dell’uccisione della donna all’interno del rapporto di coppia (13). Ecco, di nuovo, la Francesca del riscatto e della Libertà.

Francesca da Rimini è oggi anche lo pseudonimo di una conturbante artista d’avanguardia australiana, attiva in America, in Europa e in Asia. Pluripremiata, è una spe­rimentatrice dei nuovi linguaggi in rete e un’indagatrice dell’inconscio cyber-femminile.

Anche questo è mito.

 

Note

 

(1) Cfr. F. Farina, Una Francesca ritrovata, in “Romagna Arte e Storia”, n. 73, a. XXV, Rimini 2005 e F. Farina, The Re-Discovered Francesca of 1795, paper in “A Dante’s New Life in 20th-Century Literature: Modern Intertex­tual Appropriation of Dante”, UCLA Center for Medieval and Renaissance Studies, Los Angeles 2006.

(2) J.L.Borges, Inferno, V, 129, in Tutte le opere, trad. di Domenico Porzio, Milano, 1985.

(3) Un repertorio in corso redazione, ancor lontano dalla conclusione, conta ad oggi 720 schede di opere diverse.

(4) G. Boccaccio, Il commento alla Divina commedia e gli altri scritti intorno a Dante, a c. Domenico Guerri, Bari 1918.

(5) Gianciotto che spesso assume il nome di Lanciotto, così come l’ave­vano chiamato il Buti e il Landino, ma addirittura di Lancillotto (L. Casoretti, Lancillotto Malatesta, Venezia 1838).

(6) Nella storia dell’illustrazione della Commedia, dai miniatori degli antichi codici alle opere dei contemporanei, due autori vanno ricordati perché segnano tappe significative: Gustave Doré e Bonaventura Genelli. Dei quattro disegni di Doré destinati ad illustrare l’Inferno edito da Hachette nel 1861, tre sono sulla linea dell’inferno “classico” (l’incontro con i poeti, l’apoteosi dei penitenti, lo svenimento) e uno rappresenta, novità assoluta nei corredi della Divina, il bacio, evidente contaminazione delle “nuove” Francesche che già a quei tempi avevano dilagato in tutti i continenti. Genelli, in Umrisse zu Dante’s Göttlicher Komödie, Leipzig 1867, a Francesca dedica due tavole: la prima con scena degli amanti intenti a leggere e con Gianciotto pronto a irrompere, la seconda con Dante e Virgilio che incontrano Francesca. Una Francesca per nulla penitente, dalle pose e dai toni decisamente erotici, già a seno nudo e in fase d’abbandono mentre legge il libro galeotto, trionfante nella sua carnosa nudità all’inferno, le cui pene non sembrano toccarla, come ai dannati contorti che la circondano. Una Francesca “nuova”, certo non più pe­nitente, solo casualmente all’Inferno e ancora all’interno di una Commedia.

(7) Da ricordare la mostra riminese curata da Claudio Poppi nel 1994. Cfr. C. Poppi, Sventurati amanti, il mito di Paolo e Francesca nell’Ottocento, Milano 1994.

(8) L. Tonini, Memorie storiche intorno a Francesca da Rimini, Rimini 1852; L. Tonini, Memorie storiche intorno a Francesca da Rimini, con appendice di documenti, ed. seconda riveduta dall’autore ed accresciuta, Rimini 1870; P. Meldini, La Riminese, venti ritratti di donne da Francesca alla saraghina, Rimini 1986.

È simpatico notare, come altre località, specie quelle dotate di ben turriti castelli, siano riuscite ad appropriarsi e ad accreditarsi come “cornice alla storia d’amore di Paolo e Francesca“ e ad allestire stanze del bacio con tanto botola e leggio, pur in assenza del benché minimo attendibile riferimento storico. Anche questo è un effetto del mito.

(9) In F. Farina, Una Francesca ritrovata, cit.

(10) C. Yriarte, Francoise de Rimini dans la legende et dans l’histoire, Parigi 1883; C. Del Balzo, Francesca da Rimini nell’arte e nella critica, Roma 1901; C. Ricci, Francesca da Rimini e i polentani nei monumenti e nell’arte, in “Emporium: rivista mensile illustrata d’arte, letteratura, scienze e varietà”, v. 14, n. 84, Bergamo 1901; A. Giordano, Francesca da Rimini, Napoli 1902; U. De Maria, Francesca da Rimini nell’arte e nel teatro, in “La Romagna”,  a. III, n.II, Iesi 1906; G. Pecci, Francesca da Rimini nella storia e nel teatro, Faenza 1938; L. Servolini, Paolo e Francesca, storia, poesia, arte, Vicenza 1954; N. Matteini, Francesca da Rimini, storia, mito arte, Rocca San Casciano 1965; C. Borrelli, Francesca da Rimini nella fruizione ottocentesca, in “Miscellanea di studi in onore di Raffaele Sirri”, Napoli 1995; A. A. Iannucci, The americanization of Francesca: Dante on Brodway in the Nineteenth Century, in “Dante Studies”, New York 2002; D. O’ Grady, Francesca da Rimini from Romanticism to Decadence, in “Dante Metamorphoses”, Dublin 2003.

(11) Guglielmo Locella, 1848-1908. Italianista e dantista. Diplomatico. Giovanissimo, si arruolò volontario con Garibaldi nella guerra del 1866. Intrapresa la carriera militare e quella diplomatica, si dedicò prevalentemente allo studio e all’insegnamento della lingua italiana in Germania e in Austria. Organizzò numerosi eventi a sfondo dantesco, tra i quali una esposizione di materiali artistici e librari a Dresda, nel 1888, in occasione del convegno di studio “Neuphilologentag”, nel quale presentò una sua relazione su “Dante in Germany”.

(12) A. Panzini, Il mistero di Francesca da Rimini, in “Corriere della Sera”, Milano 16 marzo 1931; L. Pasquini, Alfredo Panzini e la morte di Francesca da Rimini, in “Corriere padano”, 31 marzo 1931. Panzini già in precedenza si era interessato a Francesca: A. Panzini, L’affare di Francesca, in “Il Giornale d’Italia”, 6 aprile 1924.

(13) Cfr.: http://www.cdrc.it/francesca/Spettacoliprogetto.html

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