Francesca da Rimini
tra storia e fantasia

“Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante”.

Di Francesca da Rimini, la creatura dantesca più affascinante e più amata in ogni tempo, la storia ufficiale praticamente tace.
Dante l’ha tramandata come protagonista del canto V dell’Inferno facendole dichiarare la terra e la genia di provenienza, “siede la terra dove nata fui su la marina dove ’l Po discende”, e chiamandola per nome, “Francesca, i tuoi martìri”.
Null’altro neppure sul luogo ove l’innominato che da lei “mai” non fu diviso, la baciò “tutto tremante” dopo quell’ultima lettura galeotta.
Di certo è esistita. Era figlia di Guido Minore, signore di Ravenna, moglie di Giovanni Malatesta, vissuto tra il 1240 e il 1304 e passato alla storia come Gianciotto (Gianni, lo sciancato, da cui Ciotto e Gianciotto, spesso nobilitato in Lanciotto e Lancillotto), dal quale ha avuto almeno una figlia, Concordia.
Tutto ciò è comprovato in maniera chiara da un unico importante documento, il testamento del 18 febbraio 1311 di Malatesta da Verucchio, padre di Giovanni [Gianciotto] e di Paolo [il bello], ove viene nominata in quanto madre defunta di Concordia (olim domine Francische).
Ma nessun atto ufficiale, né i cronisti ravennati o riminesi a lei contemporanei ci dicono quando sia nata, quando si sia sposata e, tanto meno, quando e dove quel tal “piacer sì forte” la prese per il bel cognato e la condusse a morte insieme a lui.
La Commedia è l’unica fonte, la più antica, che ci ha tramandato la sua passione e la sua tragica fine. Non una fonte storica, quindi, ma una fonte poetica, una visione trascendente dove la sua rappresentazione emblematica ha una precisa funzione etica, morale e pedagogica.
Il successo internazionale a cui Francesca da Rimini è assurta dopo le tragedie di Leigh Hunt (1816) di Silvio Pellico (1815-1818) ha scatenato una ridda di ipotesi molto spesso fantasiose sul quando, sul come e sul dove è scoccato il bacio più celebre del mondo.
A far ordine in maniera storicamente ortodossa in quell’intricato labirinto è stato lo storico Luigi Tonini. Tonini, in tre monografie pubblicate tra il 1852 e il 1870, dopo indagini e conclusioni minuziose e attente, dichiara l’impossibilità di affermare certezze storiche per mancanza di fonti, certificando, di fatto, l’irrisolvibilità del mistero che avvolge l’episodio di Francesca. Espone però con solidi argomenti le ipotesi che considera più plausibili.
Pone l’anno di nascita di Francesca attorno al 1260, il matrimonio con Gianciotto tra il 1275 e il 1280, la possibile tragica morte dei due amanti tra il 1283 e il 1284 e la morte di Gianciotto nel 1304. Come conclude anche lo storico Piero Meldini, al quale si deve una preziosa sintesi delle complesse indagini del Tonini, Giovanni, al tempo della tragedia, avrà avuto più di quarant’anni, Paolo fra i trentasette e i trentanove, Francesca tra i ventitré e i venticinque, e Dante vent’anni o poco meno.
In quanto al luogo dove il tragico finale può essere accaduto, Tonini è chiaro: non altrove che a Rimini “essendone tradizione antichissima, la quale è confermata dalle testimonianze autorevoli”, prime tra tutte, quelle degli antichi commentatori.
A Rimini, purtroppo, mancava e manca il benché il minimo segno visibile che ricordi la sua figlia più illustre e più amata nel mondo. La bella polentana così ha continuato a vagare nelle terre di Romagna abbracciata al suo Paolo alla ricerca del luogo ideale ove stabilirsi e ad accasarsi con il suo mito e continuare a far proseliti. Ed ecco, dopo più di un secolo d’attesa, risplendere per Francesca una stella cometa sopra la rocca malatestiana di Gradara riportata agli antichi splendori nell’aprile 1920 da un ingegnere colto e stravagante innamorato dell’antico: Umberto Zanvettori. Fu un incontro fatale e un matrimonio felice: fragore d’armi, torri merlate, balestre, alabarde, trappole e trabocchetti, baldacchini damascati e cappelle per invocare il perdono della Vergine, in una miscela di un forte neo-medievalismo di matrice dantesca e di crepuscolarismo dannunziano intriso di magiche suggestioni. Il tutto ambientato in un panorama mozzafiato ove lo sguardo può spaziare da Ravenna, ove Francesca era nata, a Rimini, ove era vissuta sposa al Malatesta, fino alla fascinosa rocca, grazie a Zanvettori e alla leggenda da lui ben costruita. Un possente maniero ove la fantasia popolare ha collocato il bacio e la storia d’amore e di passione più celebri al mondo: oggi più di cinquecentomila giovani e meno giovani d’ogni paese salgono sulle sue torri merlate per sognare l’amore eterno.
Talvolta i miti valgono più della storia. Gradara, grazie a Zanvettori, ne è testimonianza certa e felice.

Rif. Bibliografici: F. Farina, Una storia senza storia. Quando, dove e come: tra realtà e fantasia, in F. Farina, Francesca da Rimini, storia di un mito. Letteratura, arti visive e musica tra XIV e XXI secolo, Firenze, Vallecchi, 20222, pagg. 14-20.

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