Francesca da Rimini
e Gradara

Un mito oltre la storia

Da Ferruccio Farina, Francesca da Rimini e Gradara: un mito oltre la storia, in Gradara nella storia, nell’arte, nel mito, a cura di Luca Baroni, Genova 2025.

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10 agosto 1935, rocca di Gradara, camera di Francesca. Lui: “si, io ho amato e amo soltanto te cara, cara piccola donatami dal destino, e qualsiasi cosa accada ti amerò sempre…”. Lei, fremente, vede in lui, “ritto con le mani sui fianchi e la testa alta”, “l’antico padrone del maniero che stendeva sulle sue terre uno sguardo dominatore”. E non c’è da dubitare che, prima di salire sulla torre, “sfogliarono insieme il libro galeotto” e si lasciarono trasportare in un bacio potente come la loro passione. Lui era nientemeno che Benito Mussolini da Predappio, Ben nell’intimità, cinquantaduenne capo del governo e duce degli italiani che, dopo essere diventato “il primo rurale d’Italia”, il “primo fante d’Italia”, e tant’altro, diventa a Gradara anche il “primo” amante d’Italia. Lei era Claretta Petacci, ventitreenne novella Francesca da Rimini che, in una delle tante trasferte clandestine nella Riviera di Romagna, diventa la “prima” amante d’Italia. A rivelare quel bacio galeotto governativo consumato nella più rigorosa riservatezza, salvo i sussurrati ma incontenibili passaparola, sono le memorie di Miriam Petacci, sorella di Claretta1. Un bacio il cui valore va ben oltre la pulsione di due innamorati: è la certificazione “categorica e impegnativa per tutti” dell’avvenuto accasamento del mito di Francesca da Rimini nella fascinosa Rocca di Gradara2. Un mito dell’amore e della libertà che, fin dalla sua nascita alla fine del Settecento, ma ancor prima ai tempi di Dante e dei commentatori, aveva vissuto in un’aura poetica, letteraria e artistica senza aver mai trovato un luogo reale e fisicamente percettibile che le schiere di innamorati di ogni cultura e d’ogni condizione potessero vedere, toccare e vivere. Un luogo vero in cui tutti, già travolti o in attesa d’esser presi da quel “piacer si forte”, potessero emozionarsi, identificarsi e sentirsi protagonisti.
Rimini era il luogo del bacio che gli storici dopo Luigi Tonini avevano indicato come il più probabile, citato peraltro anche dai commentatori della Commedia3. Ma a Rimini, dal 1857, al posto del palazzo-castello dei Malatesta, per tanti il luogo ‘ufficiale’ della tragedia, v’era una rocca quattrocentesca con le torri mozzate trasformata in fatiscente e lugubre prigione che ben poco evocava di amori e passioni. In epoca risorgimentale, ai tempi dei grandi successi di Francesca eroina, vi si recavano in pellegrinaggio alla ricerca di qualche reliquia i seguaci di Francesco Gianni, di Pellico, di Foscolo, di Byron, di Scheffer, di Doré e dei tanti altri cantori della passion d’amore. Ma nulla lì parlava della bellissima polentana maritata al bruto e feroce Giovanni lo zoppo per biechi interessi di potere.
Delusi i letterati viaggiatori sulle orme di Dante come Teodoro Hell, Jean-Jacques Ampere e Alfred Basserman4. Delusi i turisti romantici come i trentacinque francesi “in grossa comitiva sbarcati dal piroscafo marsigliese Senegal alla ricerca di tracce di Francesca”5.
Delusi i francesi e gli americani che nel 1902 ambientarono a Verucchio la tragedia per Sarah Bernardt.
I tentativi di riempire un tal vuoto non mancarono. Specie dopo i successi della tragedia di Pellico ogni luogo malatestiano che poteva vantare un qualcosa d’antico che evocasse il Medio Evo si era sentito legittimato a rivendicare d’esser il prescelto per il bacio più famoso del mondo. In questa sorta di gara, furono almeno dieci le città e i piccoli o grandi paesi che si sono proposti grazie a ‘storici’ compiacenti che interpretavano documenti impossibili o ricorrevano a “memorie ancor vive tramandate di padre in figlio”6. Oltre a Pesaro che si era pronunciata già dal Cinquecento con Tomaso Diplovatazio7, ecco, tra gli altri, Santarcangelo con Marino Marini, San Giovanni Marignano con Eugenio Albèri, Verucchio con Francis Marion Crawford8. Non mancarono di mettersi in nota Giaggiolo e Cusercoli forti dell’esser castelli, giunti a Paolo per dote di Orabile, distanti da Rimini e lontani da occhi indiscreti. Nessuno, però, ottenne il successo sperato. Anche dopo la tragedia di D’Annunzio che dal 1901 aveva invaso l’Europa grazie alla Duse, la bella polentana continuava a vagare nelle sue terre di Romagna, abbracciata al suo Paolo come nel dipinto di Ary Scheffer, alla ricerca del luogo ideale ove stabilirsi.
Ed ecco, dopo più di un secolo dal suo apparire9, risplendere per Francesca una stella cometa sopra la rocca di Gradara riportata agli antichi splendori nell’aprile 1920 da un ingegnere colto e stravagante innamorato dell’antico: Umberto Zanvettori. Fu un incontro fatale.
Vedendo gli esiti del suo coraggioso restauro e degli arredi da lui messi in campo che ancor oggi sono sotto gli occhi di tutti, non c’è da dubitare che egli volesse replicare il sapore delle scenografie della tragedia del Vate e dell’opera di Zandonai, ambedue regine delle scene internazionali dal 1901 e dal 1914: fragore d’armi, torri merlate, balestre, alabarde, trappole e trabocchetti, mobili anneriti d’antico, baldacchini damascati, cappelle per invocare il perdono della Vergine. Insomma, una miscela di un forte neo-medievalismo di matrice dantesca e di uno smaccato crepuscolarismo dannunziano intriso di magiche evocazioni. Il tutto ambientato in un panorama mozzafiato ove lo sguardo può spaziare da Ravenna, ove Francesca era nata, a Rimini, ove era vissuta sposa al Malatesta, e, naturalmente, fino a Gradara ove, secondo Zanvettori, aveva concluso la sua vicenda terrena per passare all’eternità abbracciata al suo amore.
Nessuno, fino a quell’incontro fatale tra il sogno del temerario ingegnere bellunese e il mito di Francesca, aveva mai ipotizzato che Gradara potesse ambire a tanto. Nessun cenno in alcuna cronaca, neppure nel celebre Memorie di Gradara di Annibale degli Abati Olivieri10.
Ma, come scrisse Roland Barthes, il mito è soprattutto comunicazione. E in ciò Zanvettori fu maestro. Non solo riportò a nuova vita il castello, ma intraprese lucidamente un’operazione che oggi definiremmo di marketing turistico, facilitato in ciò dalle sue buone relazioni con il mondo della cultura e dell’arte. Qui si ricordano solo alcuni momenti salienti del suo straordinario lavoro. L’8 settembre 1921, in piene celebrazioni del centenario dantesco, promosse la pubblicazione di un articolo di Mario Pensuti sul Resto del Carlino dal titolo-domanda Dove morì Francesca? che ha una chiara e scontata risposta: a Gradara. Perché Gradara? Perché nessuno può provare il contrario e perché in quella fascinosa rocca si “risognano” con emozione la figura soave di Francesca, i suoi “dolci pensier” e il suo fatale “desio”. Parola del Castellano e della contessa consorte Mariquita de’ Forns J Lleo, ampiamente intervistati11. Nel 1928, anno della morte dell’instancabile ingegnere, esce un opuscolo, di certo promosso da lui vivente, Il castello malatestiano di Gradara ove un sedicente storico Lambertino Carnevali, oltre a ‘dimostrare’ la connessione Gradara-Francesca, si spinge fino a narrare del ritrovamento del sarcofago della bella polentana nei pressi della Rocca12. Certo, alle fantasie e alle estrosità zanvettoriane non mancarono le critiche e le polemiche, anche feroci, ma il processo di identificazione di Francesca con Gradara era divenuto inarrestabile grazie al fascino potente del castello riportato a nuova luce, un luogo d’incanto ove la fantasia popolare poteva coerentemente collocare leggende dal sapore antico, fantasie romantiche e sogni d’amore.
Ancor prima della certificazione di Mussolini che s’è citata, quel maniero turrito e il bacio di Francesca, fin dalla fine del primo conflitto mondiale stavano beneficiando del crescente successo turistico della Riviera di Romagna ed entrarono ufficialmente nella propaganda di stato con un lungometraggio edito da ENIT in lingua tedesca An der Adriatischen Riviera13.
Il 24 agosto 1933 il celebre giornalista Giovanni Tonelli scrive sulla terza pagina del Il Giornale d’Italia un corposo articolo Memorie e fantasmi del Castello di Gradara dove Francesca da Rimini visse il suo romanzo usando gli ormai sperimentati stereotipi a base di sospiri e di baci, rispondendo alla domanda “è fantasia o storia?” con un… “poco importa”14. Una pubblicità straordinaria che di certo contribuì ad inserire definitivamente il Castello dell’amore nelle escursioni indicate come obbligatorie nella poderosa macchina propagandistica della Riviera più frequentata d’Italia.
Il salto verso la massificazione del successo di Gradara e Francesca associati avverrà nel 1949 quando Raffaello Matarazzo farà commuovere nelle sale cinematografiche d’Italia schiere di acculturati amanti del passato come di romantiche sartine con il suo film Paolo e Francesca. Nello stesso anno, in verità, il puritano Walt Disney aveva cassato completamente l’eroina dantesca, pur sempre un’adultera, nell’Inferno di Topolino. Si ricrederà solo dopo trent’anni, il 27 gennaio 1980, pubblicando Paolino pocatesta e la bella Franceschina gioiosamente ambientati nel castello di Gradara insieme a un Gianciotto Paperone malato di inguaribili tirchierie15.
Ma il vero trionfo dell’operazione Zanvettori nel mercato pop è del 1966 quando la Bibbia dei fotoromanzi, il feuilleton mensile Grand Hotel con una tiratura superiore al milione di copie, pubblica Paolo e Francesca, la più famosa tragedia d’amore di tutti i tempi interpretata da due giovanissimi Warner Bentivegna e Carla Gravina16. Un successone. E, per non lasciare scoperto alcun segmento di mercato, ecco insieme il “Castello dei baci” e i due amanti più amati del mondo provarsi nel 1977 nel fumetto olandese hard, parecchio hard, Paolo en Francesca della serie Terror17.
Tappa storica del loro percorso è lo sbarco in televisione nel 1990 con il film Paolo e Francesca per la regia di Vittorio De Sisti e la sceneggiatura di Flavio Nicolini prodotto da Rai 1, antesignano delle innumerevoli trasmissioni televisive alla ricerca dei luoghi e dei miti più fascinosi d’Italia che li vedranno mattatori indiscussi.
Se Mussolini è il certificatore ufficiale del successo della straordinaria operazione di marketing iniziata con Zanvettori, Ignazio Baldelli, illustre storico della letteratura, rappresenta la legittimazione accademica che avviene nel 1991 con il saggio Dante e Francesca18. Tradendo il rigore filologico che l’ha reso celebre, Baldelli accredita con entusiasmo gli arredi medieval-novecenteschi e s’emoziona dinnanzi al falso talamo dell’abbraccio fatale. Finge di dimenticare che, tra le località malatestiane che rivendicano d’esser il luogo dove Francesca s’è immolata all’amore, Gradara è l’unica a non poter contare su alcun argomento a sostegno dell’ipotesi se non la bellezza fascinosa del suo castello e del suo paesaggio. Comunque, afferma Baldelli “se ciò può servire a far conoscere e amare Dante e Francesca ancor di più, ben vengano le narrazioni fantasiose”. E invita tutti nella “gigantesca rocca malatestiana: “Dovete andare a Gradara nei primi venti giorni di agosto, verso le cinque del pomeriggio. Si riversano giovani dalla Svezia, dalla Germania, dalla Danimarca, dall’Austria che, la mattina, si arrostiscono al sole che sorge dal mare… E allora è un’esperienza indimenticabile quella di ascoltare nelle varie lingue d’Europa, più spesso in tedesco, il Cicerone che vi fa vedere il grande letto a baldacchino, la porta forzata da Gianciotto, la botola attraverso cui Paolo cercò di salvarsi, il gancio a cui si impigliò il suo giustacuore: e intorno avrete le giovinette nordeuropee, incredibilmente svestite, con le carni appunto arrossate dal sole e dal riflesso del mare. E chissà che qualcuna di esse, tornata al suo Paese, non vada a cercare il canto di Francesca e di Paolo”. E, aggiungiamo noi, che possa anche riscoprire la bellezza delle Francesche di Pellico, di Boker, di Phillips e di D’Annunzio. Oppure di Ingres, di Rodin, di Tchaikovsky, di Rossini, di Zandonai e dei tanti altri artisti che, con la nostra eroina, hanno segnato la cultura occidentale degli ultimi due secoli.

Quanto sopra, pur esposto in maniera sommaria, ha l’intento di riconoscere a Umberto Zanvettori il grande merito di aver intercettato lo spirito dei suoi tempi creando l’habitat perfetto per un mito che, ancora dopo due secoli dalla sua affermazione, ne era ancora privo. Da quel provvidenziale 1920, Francesca, pur mantenendo intatti i suoi valori positivi – bellezza, rispetto dell’amore, rispetto della vita, libertà – è mutata per rispondere ai nuovi bisogni di una società in continua evoluzione. Accanto alla creatura di Dante, all’eroina della libertà del sentire risorgimentale, all’emancipata donna dannunziana padrona del suo corpo e della sua sensualità che tanti grandi artisti hanno cantato e che vanno ricordati, oggi c’è anche una nuova Francesca. C’è un’emblematica combattente che, all’insegna de “l’amore non uccide”, grida contro le violenze, contro i matrimoni forzati e contro i femminicidi che segnano drammaticamente il nostro quotidiano. È tempo che anche la narrazione e le scenografie allestite cent’anni fa, che pur vantano tappe gloriose, parlino nuovi linguaggi. Se il futuro è anche in questi temi19, il presente comunque parla chiaro: il magico castello con il bacio di Francesca incorporato oggi è il polo museale più frequentato delle Marche e sono più di cinquecentomila le giovinette d’ogni paese evocate da Baldelli che salgono sulle sue torri merlate per sognare l’amore eterno accompagnate dai loro genitori, dai fidanzati, dai mariti e dagli amanti.
È proprio vero che talvolta i miti valgono più della storia. Gradara, grazie a Zanvettori, ne è testimonianza certa e felice.

Note

  1. Miriam Petacci, Memorie, in Oggi, 2 marzo – 18 maggio 1961, a c. di G. Cavallotti, XIII, marzo 1961; Miriam Petacci, Chi ama è perduto, mia sorella Claretta, a. c. di Santi Corvaja, Gardolo di Trento 1988, pp. 121, 147.
  2. Questa breve nota tratta del mito moderno di Francesca, eroina dell’amore e della libertà, vittima di inganno nuziale e di leggi crudeli, che nasce nel 1795 con la prima opera a lei dedicata dal poeta Francesco Gianni alla quale seguiranno, nei due secoli a venire, oltre duemilaquattrocento tra poemi, tragedie, racconti, dipinti, sculture e musiche di autori europei e americani. Superfluo qui ribadire che Francesca da Rimini è un personaggio letterario che appare nella Commedia e che la storia di lei tace. Ferruccio Farina, Francesca da Rimini, sulle tracce di un mito, Rimini 2006; Ferruccio Farina, Francesca da Rimini, storia di un mito, Rimini 2019I, Firenze 2021II.
  3. Luigi Tonini, Memorie storiche intorno a Francesca da Rimini, Rimini, 1875II. Per una ricognizione dei luoghi indicati dai Commentatori a partire da Jacopo Della Lana (1324 e il 1328), cfr. Ferruccio. Farina, Francesca da Rimini, storia… cit., pp. 23-28, 266.
  4. Teodoro Hell, Il viaggio in Italia sulle orme di Dante, Venezia 1841, p. 120: “di ciò che ricorda Francesca nulla più esiste”. Jean-Jacques Ampere, Viaggio dantesco, Firenze 1855, p. 128: “oggi, tranne Palazzo Malatesta null’altro rimane che rammenti Francesca; null’altro indizio del dove riposino le ceneri dei due amanti”. Alfred Bassermann, Dante Spuren in Italien, Monaco e Lipsia 1897, pp. 173, 241.
  5. Da Rimini presero un treno speciale per Ravenna ove “Francesca respirò le prime ore della sua vita…”. L’Ausa, periodico Popolare, Rimini, 12 settembre 1896.
  6. Ferruccio Farina, Ten Castles for one Kiss, paper in Love and Death in the Renaissance Castle, congress in UCLA, by UCLA Center for Medieval and Renaissance Studies and Centro Internazionale di Studi Francesca da Rimini, Los Angeles 2015.
  7. Tommaso Diplovatazio, (1468-1541), giureconsulto di origine greca, nel suo Chronicon Pisauri conservato alla Biblioteca Oliveriana di Pesaro, espone due tesi sul possibile luogo dell’episodio di Paolo e Francesca: Rimini in “domus magna” sulla “piazza grande” e Pesaro in “palatius Comunis iuxta portam Gattuli”. Da Cesare Clementini, Raccolto istorico della fondazione di Rimino e dell’origine e vite de’ Malatesti, vol. I, Rimini 1617, pp. 608-613.
  8. Marino Marini, Memorie istorico-critiche della città di Santo Arcangelo, Roma 1844; Luigi Tonini, Memorie… cit. pp. 100-108; Eugenio Albèri, Francesca da Rimini in Scene d’amore, album artistico-letterario, Padova 1852; Francis Marion Crawford, Francesca da Rimini. A Play in Four Acts, New York e Parigi 1902.
  9. Francesco Gianni, Francesca di Arimino, argomento con metro obbligato proposto in Siena a Francesco Gianni, Firenze 1795. Per la profonda diversità dei due personaggi letterari, “Francesca peccatrice” della Commedia e “Francesca eroina della libertà” dell’Ottocento e del Novecento, cfr. Ferruccio Farina, pp. 4-7.
  10. Annibale degli Abati Olivieri Giordani, Memorie di Gradara terra del contado di Pesaro, Pesaro 1775.
  11. Mario Pensuti, Dove morì Francesca? in Il Resto del Carlino, 8 settembre 1921.
  12. Afferma che “quasi di certo” un sarcofago romano ritrovato nel 1760 nei pressi della rocca potesse contenere i resti di Francesca ipotizzando un possibile riuso. Lambertino Carnevali, Il castello malatestiano di Gradara, Pesaro (1928), p. 32.
  13. Descrizioni turistiche della Riviera Adriatica, regia di Gianni Antonioli, edizione in lingua tedesca, Archivio storico dell’Istituto Luce, D028202.
  14. Giovanni Tonelli, Memorie e fantasmi del Castello di Gradara dove Francesca da Rimini visse il suo romanzo, in Il Giornale d’Italia, Roma, 24 agosto 1933.
  15. Walt Disney, L’inferno di Topolino, in Topolino, nn. 7 e 12. Milano 1949. Walt Disney, Paolino pocatesta e la bella Franceschina in Topolino, n. 1261, Milano 1980.
  16. Paolo e Francesca, la più famosa tragedia d’amore di tutti i tempi in Grand Hotel, a. XVII, n. 127, Milano 1966.
  17. Paolo en Francesca, serie Terror, Strombeeck 1977.
  18. Ignazio Baldelli (1922-2008) autorevole professore di Storia della lingua italiana alle università “La Sapienza” e di University of California, Berkeley, socio dell’Accademia della Crusca e dell’Accademia dei Lincei, condirettore dell’Enciclopedia dantesca. Ignazio Baldelli, Dante e Francesca, Firenze 1999, pp. 35, 36.
  19. Il Comune di Gradara da sperimentato il valore di questi temi ospitando nel 2018 e nel 2021 due edizioni delle dieci Giornate Internazionali Francesca da Rimini svoltesi dal 2006 a Rimini, Los Angeles, Gradara e Milano con convegni di studio, mostre, concerti, organizzate dal Centro Internazionale di Studi Francesca da Rimini. Nel 2018 ha organizzato per gli studenti di Pesaro e Urbino lo spettacolo teatrale E ‘l modo ancor m’offende: Storie di donne offese dalla violenza di Giuliano Turone, magistrato emerito del pool di Milano, per sensibilizzare i giovani sull’universalità del problema della violenza sulle donne e sulla necessità di una battaglia culturale. Per una sintesi degli atti a stampa dei convegni di studio cfr. Cinque continenti per Il V Canto: Francesca da Rimini un mito senza confini, Atti del Convegno internazionale, Rimini 2022, a c. di Ferruccio Farina, Rimini 2023.
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